Descrizione dell’attività svolta durante il corso di dottorato di ricerca in Scienze Farmaceutiche dal Dott. Emanuele Patanè

10 02 2010

Con la presente descrivo un dannoso e ignobile smaltimento di rifiuti tossici e l’utilizzo di sostanze e reattivi chimici potenzialmente tossici e nocivi in un edificio non idoneo a tale scopo e sprovvisto dei minimi requisiti di sicurezza.

Ho conseguito la laurea in Farmacia il 19 luglio 1999 con voti 110 su 110 e lode, e ho conseguito l’idoneità all’esercizio della professione di farmacista nella seconda sessione dell’anno 1999. Ho frequentato il corso di dottorato di ricerca in Scienze Farmaceutiche di durata triennale, novembre 1999-ottobre 2002, presso il dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università degli Studi di Catania. Il titolo di dottore di ricerca è stato da me conseguito giorno 8 marzo 2003.

In breve narro l’accaduto che mi coinvolge purtroppo in prima persona.

Durante il corso di dottorato mi sono occupato di sintesi chimica in laboratorio mediante l’utilizzo di opportuni reagenti chimici. Ho iniziato a lavorare in laboratorio nell’aprile del 2000. Mi hanno diagnosticato un tumore nel polmone destro nel luglio 2002. Durante il corso di dottorato, trascorrevo generalmente tra le otto e le nove ore al giorno in laboratorio, per tutta l’intera settimana escluso il sabato.

Il laboratorio è un locale di circa 120 metri quadri. Il laboratorio è dotato di tre porte che immettono verso l’esterno e di una porta che immette in un corridoio ed anche da tre finestre non apribili, che sono state sostituite con delle finestre nuove ed apribili all’incirca nel febbraio del 2002.

Nel laboratorio non vi è un sistema di aspirazione e filtrazione idoneo, infatti si avvertivano sempre odori sgradevoli, tossici e molto fastidiosi, spesso eravamo costretti ad aprire le porte in modo da far ventilare l’ambiente.

Nel laboratorio c’erano due cappe di aspirazione antiquate che non aspiravano in modo sufficiente e adeguato. Quindi lavorare sotto le cappe di aspirazione era lo stesso che lavorare al di fuori di esse. Infatti una di queste cappe subito dopo la diagnosi della mia malattia, cioè circa nel luglio 2002, è stata sostituita con una nuova e quindi funzionante.

Le sostanze chimiche, i reattivi ed i solventi erano conservati nel laboratorio sulle mensole, sui banconi, in un armadio sprovvisto di un sistema di aspirazione e dentro due frigoriferi (per uso domestico) anch’essi non dotati di un sistema di aspirazione e filtrazione. Questi frigoriferi sono tutti arrugginiti ed in vicinanza di essi si avverte un odore sgradevole e nauseante, che diventa molto più intenso quando vengono aperti. In un frigorifero vi erano inoltre sostanze altamente radioattive identificate da alcuni ispettori, che sono state rimosse e isolate in camera calda qualche mese dopo la diagnosi del mio tumore.

In laboratorio le reazioni chimiche e tutte le altre operazioni che ne conseguono, come operazioni di separazione (come cromatografie), filtrazione, miscelamento di sostanze chimiche, concentrazione di solventi (mediante rotavapor) ecc…venivano effettuate utilizzando: acetato d’etile, cloroformio, acetonitrile, diclorometano, trietil-ammina, cloroetil-isocianato, metanolo, cicloesano, n-esano, benzene, toluene e molte altre.

Quasi tutte le reazioni chimiche, le operazioni di concentrazione e le colonne cromatografiche di separazione, dove spesso vengono utilizzati solventi notevolmente tossici, venivano effettuati nel laboratorio sui banconi. Anche tutte le reazioni chimiche dove venivano utilizzati reattivi molto nocivi venivano eseguiti sui banconi, e quindi fuori dalle cappe di aspirazione. Venivano concentrati mediante l’utilizzo di un macchinario, il rotavapor, solventi molto tossici come il toluene, il benzene ecc.. quindi tutte le reazioni precedentemente elencate venivano eseguite in un laboratorio sprovvisto di un sistema di aspirazione e filtrazione adeguato ed idoneo, questo spiega perché nel laboratorio c’era sempre un odore sgradevole, nocivo e nauseante che spesso diventava insopportabile.

Tutta la vetreria utilizzata per le reazioni chimiche e per tutte le reazioni annesse, veniva lavata con acetone. L’acetone di rifiuto che ne risultava dai lavaggi, quindi altamente inquinante, veniva posto in contenitori di vetro da 2,5 lt. Quando questi contenitori erano pieni, l’acetone veniva recuperato effettuando una concentrazione con il rotavapor, questo comportava che tutte le sostanze di rifiuto e possibilmente nocive che vi erano miscelate evaporano sviluppando odori sgradevoli e possibilmente tossici.

Tutti i solventi di rifiuto, cioè quelli che erano stati utilizzati per le reazioni chimiche e per tutte le altre operazioni annesse, venivano posti in dei contenitori in plastica (generalmente da 30 litri) che restavano in laboratorio fin quando si riempivano. Questi contenitori con tutti i solventi e le sostanze di rifiuto venivano posti a terra e al di fuori delle cappe di aspirazione. Quindi, ogni volta che si aprivano questi contenitori per versarvi i solventi di rifiuto, venivano fuori vapori sgradevoli e sicuramente notevolmente tossici e nocivi, che eravamo costretti a sopportare perché i contenitori si trovavano a terra e non vi era nessun sistema di aspirazione e filtrazione. Quando i contenitori con le sostanze di rifiuto erano pieni, eravamo costretti a trasportarli in una camera fuori dal dipartimento adibita alla raccolta dei rifiuti e nel loro trasporto non vi era nessun sistema di sicurezza ed inoltre queste operazioni non venivano eseguite da personale specializzato.

Molti reattivi chimici erano conservati in un normale armadio metallico sprovvisto di un sistema di aspirazione e filtrazione, posto nel corridoio fuori dal laboratorio in particolare in prossimità della porte di entrata sia del laboratorio che dello studio dei professori Guerrera e Siracusa. Nello studio si trovava il computer ed inoltre era il luogo dove si dibatteva sulle tematiche di ricerca, quindi vi si trascorreva sempre qualche ora durante la giornata. Dall’armadio metallico, precedentemente descritto, tutto corroso ed arrugginito dalle sostanze chimiche che conteneva, si avvertiva un odore sgradevole che raggiungeva lo studio e tutto il corridoio. Nel mese di dicembre 2001, io ed altri due colleghi abbiamo provveduto allo smaltimento delle sostanze che si trovavano all’interno: in parecchi contenitori non vi era più sostanza chimica in quanto era tutta evaporata. Quando si prendevano le sostanze chimiche dall’armadio metallico per metterle nei cartoni per lo smaltimento, si avvertivano odori sgradevoli e tossici in quanto eravamo in un ambiente dove non vi è nessun sistema di aspirazione e filtrazione.

Questi cartoni, pieni dei reattivi tossici, io ed una tesista siamo stati costretti a trasportarli in una stanza adibita alla raccolta di questi rifiuti posta fuori dal Dipartimento. Il trasporto dei cartoni di smaltimento è stato effettuato passando per i corridoi del Dipartimento oppure passando per la strada evitando macchine in sosta e in transito. Comunque la sistemazione dei reattivi chimici nei cartoni ed il successivo trasporto, sono stati eseguiti senza nessun criterio di sicurezza e di salvaguardia della salute, e sicuramente non da tecnici specializzati.

Nei corridoi del Dipartimento di Scienze Farmaceutiche la presenza di armadi metallici contenenti sostanze e reattivi chimici, sprovvisti di un sistema di filtrazione ed aspirazione idoneo, provocava la continua presenza di odori sgradevoli e notevolmente tossici.

Dopo aver trascorso l’intera giornata in laboratorio, avvertivo spesso mal di testa, astenia ed un sapore strano nel palato come se fossi intossicato.

Oltre al mio caso di tumore, si sono verificati altri casi di malattia dovuti ad una situazione di grave e dannoso inquinamento del dipartimento e sicuramente non sono da imputare ad una fatale coincidenza.

Nel mese di maggio del 2002, una ricercatrice, la dott.ssa Maria Concetta Sarvà, mentre si trovava nello studio è entrata improvvisamente in coma e dopo qualche giorno è morta.

Sono venuto a conoscenza che un ragazzo, C.C. che ha svolto il dottorato di ricerca due anni prima di me nello stesso laboratorio di sintesi chimica, si è ammalato di tumore al polmone.

Uno studente di CTF che frequentava il corso nel dipartimento circa due anni fa, si è ammalato di tumore al polmone ed è stato operato.

Inoltre un’altra ragazza, la dott.ssa A.A, che ha svolto il dottorato di ricerca in un altro laboratorio, ma sempre nello stesso dipartimento di Scienze Farmaceutiche, si è ammalata di tumore all’encefalo.

Dal mese di novembre del 2002 nel laboratorio dove lavoravo io, vi lavora una nuova ricercatrice, la dott.ssa V.P, la quale nel mese di agosto 2003 si trovava al sesto mese di gravidanza quando ha perso il bambino per mancata ossigenazione.

Sono venuto a conoscenza che altre tre persone che lavorano nel dipartimento di Scienze Farmaceutiche si sono ammalate di tumore: la prof.ssa A.P, il direttore dott.ssa A.G e un collaboratore amministrativo della facoltà sign. A.R.

Da questa breve disamina si può capire quanto la mancata accortezza nello smaltimento dei rifiuti tossici e l’utilizzo di sostanze e reagenti chimici, senza una struttura idonea a tale scopo e quindi in assenza dei minimi requisiti di sicurezza, possa aver nuociuto ai giovano laureandi, laureati, dottorati, ricercatori e professori e quanto possa ancora nuocere se non vengo presi solerti provvedimenti.

In breve descrivo anche un caso di abuso di potere pubblico e di illegalità che coinvolge la Facoltà di Farmacia dell’Università di Catania.

Ho partecipato ad un concorso pubblico per titoli bandito dall’Università di Catania, per l’attribuzione di una borsa di studio per attività di ricerca post-dottorato, cui possono partecipare solo i possessori del titoli di dottore di ricerca. La borsa di studio messa a concorso per la Facoltà di Farmacia, orientamento Scienze Farmaceutiche, era soltanto una. Dalla segreteria sono venuto a sapere che ero l’unico candidato e quindi sicuramente ero il vincitore della borsa di studio, come mi è stato riferito dallo stesso segretario. Nel mese di settembre il prof. Guerrera e il prof. Russo, mi hanno comunicato che il prof. Ronsisvalle, coordinatore del dottorato di ricerca (nonché “proprietario della facoltà di Farmacia”), non era disposto a concedermi la borsa in quanto sono malato di tumore ed inoltre non avevo nessuna raccomandazione (cioè nessuna amicizia ragguardevole). Secondo il prof. Ronsisvalle, lasciando decadere il tutto e quindi non assegnando la borsa a me, unico candidato, il prossimo anno sicuramente veniva nuovamente bandita la borsa post-dottorato che poteva così essere utilizzata dai suoi allievi che saranno in possesso del titolo di dottore di ricerca non prima del prossimo anno.

Io non ho ancora ricevuto nessuna comunicazione, in merito all’esito del concorso, da parte dell’ufficio borse di studio. Mi chiedo come sia possibile che un concorso pubblico venga gestito in questo modo da parte dell’Università di Catania, cioè senza nessuna trasparenza, legalità e senza nessun organo di controllo.

Giarre, 27/10/03

Dott. Emanuele Patanè





Morti e silenzi all’università. Il laboratorio dei veleni (2010)

10 02 2010

Morti e silenzi all'università - F. Viviano, A. Ziniti

Titolo: Morti e silenzi all’università. Il laboratorio dei veleni
Autori: Viviano Francesco, Ziniti Alessandra
Editore: Aliberti
Collana: Yahoopolis. Guide postmoderne
Anno di pubblicazione: 2010
Pagine: 105

***

QUANDO LA RICERCA UCCIDE: LA STRAGE ALLA FACOLTA’ DI FARMACIA DI CATANIA

Erano docenti, ricercatori, studenti, dipendenti, che per motivi di studio o di lavoro frequentavano il laboratorio di Farmacia dell’Università di Catania. Respiravano veleno e lo sapevano. L’avevano denunciato con lettere, con appelli e perfino denunce. Ma nessuno, per anni, li ha voluti mai ascoltare. Anzi, minimizzavano. Loro, intanto, si ammalavano e morivano lentamente, uccisi dall’aria killer della Facoltà. Una strage silenziosa che doveva però rimanere riservata: perché non si poteva “sporcare” il buon nome dell’Università. E molti, tra i vertici dell’Ateneo, hanno fatto di tutto per nascondere quanto accadeva. C’erano relazioni tecniche che denunciavano livelli di inquinamento più alti addirittura di quelli industriali. Tutto scritto, nero su bianco. Ma non si poteva rivelare che c’era un laboratorio di morte dove decine di studenti, docenti e dipendenti perdevano la vita, azzannati dal cancro e da malattie inguaribili ai polmoni e alla gola. Tutti ne parlavano, tutti sapevano che le vittime avevano studiato e lavorato per anni proprio lì, nel laboratorio dell’Università. Ma, incredibilmente, il silenzio ha accompagnato una storia dannata e orribile per tanto, infinito tempo. Come se nessuno se ne fosse mai accorto. In questo libro, per la prima volta, alcuni documenti inediti confermano le gravi responsabilità di chi sarebbe dovuto intervenire e non lo ha fatto.
In questo libro, per la prima volta, alcuni documenti inediti confermano le gravi responsabilità di chi sarebbe dovuto intervenire e non lo ha fatto. E riportano una prova inconfutabile, una prova che non si può smontare in nessun modo: il tragico diario di Emanuele Patanè, giovane ricercatore della facoltà di Farmacia che, prima di morire di cancro ai polmoni, ha lasciato un “testamento”.

“Descrizione dell’attività svolta durante il corso di dottorato di ricerca in Scienze farmaceutiche dal dott. Emanuele Patanè”.
Era questo il titolo del “testamento” scritto pochi mesi prima di morire da Emanuele Patanè.
Ma dentro a quel “testamento” c’era una denuncia esplosiva: la denuncia lucida, drammatica, ragionata, consapevole, cosciente e civile di un giovane ormai condannato a morte che puntava l’indice sulla assoluta quanto incredibile assenza di misure a salvaguardia della salute di quanti studiavano o lavoravano in quel laboratorio dell’Università, a contatto con pericolosissime sostanze chimiche e tossiche. Una denuncia con un già lungo elenco di morti e di ammalati e un altrettanto lungo elenco di presunti responsabili: i professori e i vertici dell’Università a cui i ragazzi avevano affidato il loro futuro.

Pagine che fanno rabbrividire, che dovrebbero far vergognare e provocare rimorsi terribili a chi sapeva e taceva soltanto perché non ne risentisse l’immagine dell’ Università. Il diario, insieme a una lunga lista di morti e di ammalati, è finito ora agli atti dell’inchiesta italiana più sconcertante e agghiacciante degli ultimi anni. E se i morti non potranno più testimoniare, gli altri, gli ammalati che tentano disperatamente di combattere per sopravvivere, forse potranno fare giustizia di una strage di innocenti.

Francesco Viviano è inviato di «Repubblica» e ha seguito tutti i maxiprocessi di mafia, analizzando l’evoluzione di Cosa Nostra dalle stragi a oggi. Inviato in Iraq e in Afghanistan, è stato insignito di numerosi riconoscimenti ed eletto “Cronista dell’anno” nel 2004, 2007 e nel 2008. Per Aliberti ha pubblicato Michele Greco, il memoriale (2008) e Mauro de Mauro. Una verità scomoda (2009).

Alessandra Ziniti, inviato speciale di Repubblica, ha seguito tutte le grandi inchieste di mafia e di cronaca in Sicilia. Insieme a Francesco Viviano ha vinto il premio “Cronista dell’anno 2008 e 2009”.